Mario Calabresi e il dramma dei suicidi

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Mario Calabresi è il direttore de "La Stampa" di Torino, figlio del commissario Luigi Calabresi ucciso da esponenti politici estremisti appartenenti a Lotta Continua nel 1972, quando lui era ancora un bambino di due anni, come riporta Wikipedia. Omonimo di Monti, Mario Calabresi oggi scrive un articolo di fondo sul quotidiano torinese dal titolo: "Il dramma dei suicidi oltre le cifre", forse in risposta alla rubrica "Buongiorno" di ieri, dal titolo "Chi suicida chi" del vicedirettore Massimo Gramellini, il quale si chiede: "Ci mancava il dibattito sui suicidi: di chi è la colpa se le persone in crisi si ammazzano, di Monti o di Berlusconi?", articoli reperibili online.

Nel suo articolo, il direttore Calabresi scrive: "Se guardiamo al 2010, l'anno più vicino su cui ci siano cifre ufficiali, scopriamo con spavento che ci sono stati 3048 suicidi, di cui, secondo l'Istat, 187 «per motivazioni economiche». Uno ogni due giorni, una frequenza apparentemente maggiore di quella che abbiamo registrato dall'inizio dell'anno (nel 2012 i casi di questo tipo sembrerebbero essere una quarantina). Secondo l'istituto di ricerche economiche e sociali, l'Eures, le morti dettate da ragioni di fallimenti, debiti e disoccupazione nel 2010 erano addirittura una al giorno. La prima cosa che mi colpisce è il silenzio che abbiamo dedicato a queste persone, li abbiamo lasciati andare via senza accorgercene, senza nemmeno saperlo, senza che nessuno si stringesse alle loro famiglie. Alcuni di loro forse hanno conquistato una notizia nelle pagine locali, per molti altri solo il silenzio della sepoltura."

Ma come fa un giornalista, un direttore di una testata giornalistica importante a non accorgersene del dramma che si consuma sotto i suoi occhi e a non parlarne? Agli inizi del 2010, più di due anni fa, già me ne accorsi io che, pur non essendo un giornalista ma un comune mortale che naviga su Internet, nel mio piccolo denunciai il dramma dei suicidi scrivendolo sul sito www.centroaccoglienza.org negli ultimi due o tre post dal titolo: "Imprenditore suicida" e "Suicidi a go go". Mi era bastato inserire la parola "suicidio" nel motore di ricerca di Google per accorgermi del dramma che si stava consumando sotto i miei occhi.

Va pure ricordato che diversi suicidi non compaiono come tali ma compaiono come incidenti stradali del sabato sera dovuti all'alcool, alla forte velocità o a qualche malore. In realtà credo che molti di quegli incidenti stradali possano rientrare nei tentativi di suicidio. La chiamano la "strage del sabato sera" o bravata giovanile, forse per pudore.

In quei post che scrissi più di due anni fa, feci presente, traendo spunto da un discorso di Gesù accusato di essere Belzebù, che il diavolo è sempre assassino e mai suicida, perché se il diavolo fosse suicida il suo regno si indebolirebbe e cesserebbe di esistere. Il male, quindi, non si estingue mai da solo, ma va riconosciuto là dove si presenta per poterlo neutralizzare e renderlo inoffensivo.

Da allora non scrissi più post su quel sito perché il suicidio è l'epilogo di un dramma oltre il quale serve a poco continuare a scrivere.

Mario Calabresi poi prosegue chiedendosi: "Tutta colpa dell'informazione, che prima ha sottovalutato e adesso gonfia?"

No, non è solo colpa dell'informazione che trascura il fenomeno o lo amplifica rischiando di promuovere fenomeni di emulazione. Secondo me la colpa è della società patriarcale pessimista per sua natura, società che fa della famiglia patriarcale fondata sul matrimonio monogamico un ghetto di solitudine e della proprietà privata ad essa collegata il perno sul quale tutto il resto ruota, Legge compresa, sacrificando sull'altare del diritto alla certezza della paternità ogni valore umano, rendendo così l'uomo preda della sua solitudine e del suo debito quando la famiglia non risponde più ai bisogni dell'uomo.

Mariooooo ...., coraggio! Incominciamo a pensare a come promuovere l'eliminazione della proprietà privata in prospettiva di una economia di comunione. Te la senti? O preferisci restare complice di questa società patriarcale che ti ha reso orfano di padre in tenera età dimostrando, in questo modo, che si può crescere responsabilmente e in sapienza anche senza la presenza di un padre terreno, come la tua vita dimostra?