Un'altra economia è possibile

L'Osservatore Romano

L'Osservatore Romano (Photo credit: Wikipedia)

"Un'altra economia è possibile. Per cambiare le regole di un capitalismo che continua a produrre scarti" è il titolo e il sottotitolo dell'articolo di fondo che il quotidiano politico religioso del Vaticano, L'Osservatore Romano, di oggi domenica 5 febbraio 2017, dedica al discorso del Papa rivolto ai partecipanti all’incontro sull’economia di comunione promosso dal movimento dei Focolari ricevuti nella mattinata di sabato 4 febbraio 2017.

Su questo sito ho già scritto in passato altri articoli in merito all'Economia di Comunione, sottolineando che il problema principale origine di ogni ingiustizia sociale, dal mio punto di vista, risiede nella legittimazione della Proprietà Privata pilastro dell'Economia di Mercato. Non vorrei ripetermi, ma temo di dovermi ripetere.

Nell'articolo sull'Osservatore Romano si legge: "Il Papa ha approfondito tre tematiche riguardanti il denaro, la povertà e il futuro. Riguardo alla prima ha sottolineato l’importanza della «comunione degli utili», perché il denaro «è importante, soprattutto quando non c’è e da esso dipende il cibo, la scuola, il futuro dei figli». Altra cosa è farlo diventare idolo, per cui «quando il capitalismo fa della ricerca del profitto l’unico suo scopo, rischia di diventare una forma di culto». Quanto alla povertà, il Pontefice ha elogiato le «molteplici iniziative, pubbliche e private» per combatterla. E ha ricordato come «la ragione delle tasse» stia «anche in questa solidarietà, che viene negata dall’evasione ed elusione fiscale». Ma nonostante ciò, ha avvertito, «il capitalismo continua a produrre gli scarti che poi vorrebbe curare». Un’ipocrisia evidente che va sconfitta puntando a cambiare le regole del gioco del sistema economico-sociale. Riguardo al futuro, infine, Francesco spera in una crescita di questa «esperienza che per ora è limitata a un piccolo numero di imprese». Una speranza ispirata al principio della reciprocità, perché — ha ricordato — «la comunione non è solo divisione ma anche moltiplicazione dei beni». L’augurio conclusivo è quello di «continuare ad essere seme, sale e lievito di un’altra economia», dove «i ricchi sanno condividere le loro ricchezze» e i poveri sono chiamati beati»."

Io sono dell'idea che in una vera economia di comunione i ricchi e i poveri non hanno più motivo di essere chiamati tali perché le risorse appartengono a tutti e tutti dovrebbero essere chiamati beati senza discriminazioni.

Il discorso di Papa Francesco rivolto ai partecipanti all'incontro sull'economia di comunione è interessante. Da come si legge sull'Osservatore Romano e dal link riportato, il Papa dice: "Pensando al vostro impegno, vorrei dirvi oggi tre cose. La prima riguarda il denaro. È molto importante che al centro dell’economia di comunione ci sia la comunione dei vostri utili. L’economia di comunione è anche comunione dei profitti, espressione della comunione della vita. Molte volte ho parlato del denaro come idolo. La Bibbia ce lo dice in diversi modi. Non a caso la prima azione pubblica di Gesù, nel Vangelo di Giovanni, è la cacciata dei mercanti dal tempio (cfr. 2, 13-21). Non si può comprendere il nuovo Regno portato da Gesù se non ci si libera dagli idoli, di cui uno dei più potenti è il denaro. Come dunque poter essere dei mercanti che Gesù non scaccia? ... È stato Gesù, proprio Lui, a dare categoria di “signore ” al denaro: “Nessuno può servire due signori, due padroni”.".

Per quanto riguarda le tasse da pagare, l'evasione e l'elusione, visto che il Papa accenna alla cacciata dei mercanti dal tempio, ricordo che qualunque tassa da pagare rende il cittadino un suddito, un suddito dello Stato o del re. Infatti, emblematico è l'episodio del Vangelo in cui si chiede a Gesù e ai suoi discepoli di pagare la tassa del tempio. In quell'episodio Gesù risponde che i figli del re non pagano le tasse. Essendo il tempio la "casa" di Dio dove Dio viene visto come un re, è chiaro che gli ebrei ritenendosi figli di Dio e quindi ritenendosi figli del re come si considerava lo stesso Gesù con i suoi discepoli, per loro non ha senso pagare una tassa del tempio, una tassa alla "casa" di Dio. Quelli che pagano le tasse al re non sono i figli del re, ma i sudditi del re.

E' chiaro che pagare le tasse a qualcuno ti rende e ti fa sentire un suo suddito. Ma noi siamo figli e non sudditi. Se non si arriva a concepire lo Stato come un padre e la Chiesa come madre e lo Stato stesso non concepisce i suoi cittadini come figli, lo Stato continuerà sempre a imporre tasse da pagare ai suoi sudditi e i sudditi, proprio perché considerati degli estranei, cercheranno sempre di ribellarsi alle tasse da pagare.

Le tasse sono ingiustizie nell'ingiustizia della Proprietà Privata. Basta pensare alle tasse che lo Stato italiano fa pagare sul lavoro, sui beni primari, sugli affitti commerciali non percepiti per morosità o sulle tasse da pagare sulle fatture commerciali non pagate. In tutto questo la Proprietà Privata svolge il suo bel ruolo di ingiustizia e discriminazione tra chi ha avuto modo di accaparrarsi risorse esclusivamente per se stesso e chi non ha avuto questa facoltà.

Dal mio punto di vista il denaro è una forma di espressione della Proprietà Privata, in particolare della Proprietà mobiliare, insieme alle altre forme di Proprietà Privata: quella immobiliare e quella intellettuale. Quando Gesù dice che non si possono servire due padroni, Dio e il denaro, non fa altro che dire che non si possono servire Dio e la Proprietà Privata.

Poi il Papa prosegue: " ... Si capisce, allora, il valore etico e spirituale della vostra scelta di mettere i profitti in comune. Il modo migliore e più concreto per non fare del denaro un idolo è condividerlo, condividerlo con altri, soprattutto con i poveri, o per far studiare e lavorare i giovani, vincendo la tentazione idolatrica con la comunione.".

Per quanto nobile possa essere la condivisione degli utili, la realtà è che in Economia, in una economia di mercato, la definizione di profitto è "l'eccedenza del ricavo lordo delle vendite sul costo totale di produzione". Prima di mettere in comune un profitto occorre realizzarlo e per realizzarlo occorre realizzare dei beni a costi più bassi del prezzo con cui poi vengono venduti.

Questo comportamento di vendere beni e servizi a prezzi più alti dei costi di produzione per realizzare un utile non fa altro che dimostrare la sottomissione di tale comportamento alle regole dell'economia di mercato tradizionale alla cui base ci sta sempre la legittimazione della Proprietà Privata, regole che non hanno niente a che vedere con le regole della vera economia di comunione le quali possono fare a meno della Proprietà Privata e della sua legittimazione, mentre le regole dell'economia di mercato non possono fare a meno della legittimazione della Proprietà Privata. Serve a poco condividere i profitti se poi quei profitti li hai realizzati sottomettendoti alle regole dettate dal padrone al quale tutti ci sottomettiamo: la Proprietà Privata, solo per illuderci di non venire scacciati come mercanti del tempio.




Papa: cambiamo le regole del sistema economico-sociale.