La comunione dei beni fallimentare dei primi cristiani

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Italiano: Stemma del partito "Per il Bene Comune - Lista Civica Nazionale" (Photo credit: Wikipedia)

La comunione dei beni dei primi fedeli cristiani è descritta in alcuni passi del libro Atti degli Apostoli. Vediamoli.

Atti 2, 44-45
Tutti coloro che erano diventati credenti stavano insieme e tenevano ogni cosa in comune; chi aveva proprietà e sostanze le vendeva e ne faceva parte a tutti, secondo il bisogno di ciascuno.

Atti 4, 32-37
La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà  quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l'importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno. Così Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa «figlio dell'esortazione», un levita originario di Cipro, che era padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò l'importo deponendolo ai piedi degli apostoli.

C'è una contraddizione nei termini in quei versetti perché se ogni cosa è in comune in una comunità, non possono esistere quanti possiedono campi o case da mettere in vendita perché un bene comune non lo vendi senza il consenso di tutti i partecipanti la comunione. Si tratta, a mio avviso, di una comunione purtroppo fallimentare.

Luca, l'autore del libro degli Atti dice, da una parte che i credenti tenevano ogni cosa in comune e, fin qui, sta bene. Dall'altra parte però precisa che chi (tra i credenti) aveva proprietà e sostanze le vendeva e distribuiva il ricavato tra tutti secondo il bisogno di ciascuno e qui, purtroppo, non ci siamo.

Bisogna osservare che un comportamento simile non ha alcun senso ed è fallimentare sul lungo periodo perché, se possiedi un bene, una proprietà, nella comunione non ha senso venderla, è da stupidi venderla perché, in questo modo, espropri la comunità che non può più disporre di quel bene che passa ad altri. Ha invece senso mettere e mantenere quel bene in comune e condividerlo, perché in questo modo la comunità può continuare ad utilizzare il bene secondo i bisogni della comunità stessa.

La stessa contraddizione o incoerenza la troviamo anche nel capitolo 4: Infatti, da una parte Luca racconta che i fedeli avevano un cuore solo e un'anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. E qui sta bene. Dall'altra parte, però, Luca si dà la zappa sui piedi raccontando che quanti possedevano campi o case li vendevano e l'importo ricavato dal venduto veniva portato ai piedi degli apostoli per essere distribuito a ciascuno secondo il bisogno. Un comportamento quest'ultimo, a mio avviso, più da stupidi che sensato, per non dire da coglioni.

Sì, perché se hai un bene, piuttosto che venderlo lo metti in comune, non lo vendi, perché quando lo hai venduto, non ce l'hai più nemmeno per condividerlo. Infatti quando il ricavato della vendita lo hai esaurito per sostenere i bisognosi, ti ritrovi bisognoso pure tu e non ti resta che sperare in qualche altra anima pia che venda i suoi campi e case affinché il ricavato  possa essere distribuito anche a te.

Alla fine, quando tutte le anime pie e fedeli hanno venduto i loro beni e ridistribuito il ricavato tra di loro secondo i bisogni che nel frattempo sono cresciuti, ci si ritrova con tante anime pie e fedeli, bisognose e nullatenenti da una parte e, dall'altra parte, i pochi furbi che hanno comprato i beni di coloro che li hanno venduti e che ora legittimati dalla perversione della Proprietà Privata se li tengono per ridurre in schiavitù le molte anime pie e fedeli diventate nullatenenti e bisognose di tutto, perché hanno venduto tutto, invece di condividerlo tra di loro.

Un comportamento da coglioni e da pelandroni quali i primi cristiani pare fossero, a mio avviso. E' più facile e comodo vendere una casa e usare il ricavato per pagare un albergo allestito da altri per dare un ricovero a chi non ha casa. E' più comodo vendere un trattore, un cavallo, un bue, per poi comperare il grano già pronto coltivato da altri per sfamare gli affamati, piuttosto che usare la casa per allestirla come ricovero comune per tutti, piuttosto che usare il trattore, il cavallo, il bue come risorsa comune per lavorare la terra e coltivare il grano per sfamare tutti.

Un bene comune, secondo il Diritto, non lo puoi vendere senza il consenso di tutti, al massimo puoi solo cedere la tua quota di comproprietà ma, a quel punto, quel bene non è più un bene comune, ma diventa un bene comune in proprietà esclusiva di una élite, un gruppo ristretto di persone.